martedì 30 giugno 2009

Il capo (prima parte)

La prima volta non ho detto niente.
Anzi la prima volta forse non è stata neanche la prima volta perché sono uscita dal suo ufficio chiedendomi se dovevo davvero considerarla tale.
In fondo ha solo appoggiato la sua mano arteriosclerotica sulla mia coscia e magari era solo un gesto di affetto.
Quante volte ho preferito chiamarlo affetto per non dover prendere delle decisioni. Insomma lo sapevo, lo avevo capito, lo avevo intuito dalla mia capa che mi ha preso in simpatia e mi ha avvisato. Altre non hanno avuto la mia stessa fortuna. Entravano sorridenti e uscivano bianche in volto qualcuna dicendo “mi ha messo le mani addosso” le più tacciono.
Proprio come ho fatto io la prima volta.
La mia capa mi viene incontro sorridendo. - Come è andata? - mi chiede con tono professionale. Poi mi porta nel suo ufficio e la butta sul ridere. In fondo se ci ridi su non è poi una cosa così seria, è quasi una ragazzata e con il tempo, se il grande capo ti prende in simpatia, diventa persino una sfida.
- Sai - prosegue orgogliosa lei -l'ultima volta gli ho detto di no e lui ha rimesso le mani a posto -.
Tra un po' – pareva suggerire il compiaciuto silenzio che aveva seguito quell'affermazione – vedrai che anche tu potrai cominciare ad allontanarti quando allunga le mani e prima e poi persino a dirgli di smettere.
Cambio discorso, la butto sul lavoro anche se lei non pare convinta.
Ho bisogno di tempo, devo riflettere sulla cosa prima di raccontarla, da come racconterò come sono andate le cose, dipenderà il mio futuro lavorativo. Prima di raccontare devo decidere da che parte stare se nel gruppo di quelli che contano o dall'altra parte nella grande massa di segreterie e assistenti maltrattate dalla mattina alla sera.
In fondo mi ha solo messo una mano sulla coscia e dopo anni di colloqui lavorativi, ho dovuto subire ben altro. E poi la mia capa è simpatica e mi ha preso a ben volere anche se ho intuito perfettamente che le avances del capo non si fermeranno qui.
Se sono abbastanza brava e fortunata posso sperare che cominci ad apprezzarmi abbastanza per il mio lavoro da concentrare i suoi interessi particolari verso qualche altra nuova arrivata.

In nome dei lavoratori (quarta puntata)

Lo so, manca una descrizione del grande Sindacalista. Mancano anche alcuni dettagli sulla passione di cui aveva riempito il suo buchino da 10mila euro al metro quadrato nel centro di Roma, e manca l'indirizzo. Una sola informazione di queste e tutti capireste di chi sto parlando. E quindi preferisco sorvolare.

Non sono Patrizia D'Addario: agli incontri con uomini politici, sindacalisti e potenti di vario tipo andavo per lavoro, non per ricattarli o incastrarli. Ad un certo punto ho capito che funzionava così più o meno per tutti e ho cambiato strategia, ma allora andavo disarmata e quindi se proprio volete individuare il nome del protagonista, accontentatevi di indovinarlo dai pochi indizi che vi lascerò.

lunedì 29 giugno 2009

Ragazza immagine

Nei prossimi giorni non sarò più sola a raccontarvi i miei papi. Leggerete anche le storie di 'Ragazza immagine'.

E presto a noi si uniranno anche altre donne, perché i papi abbondano a quanto pare...

venerdì 26 giugno 2009

In nome dei lavoratori (terza puntata)

Il portone si apre da solo davanti a me. Dal citofono viene fuori una voce: 'Appena entri a destra ci sono le scale. E' al quarto piano', ordina. Obbedisco. L'atrio è poco illuminato, le scale lo sono ancora meno. Non ho mai capito perché alcuni palazzi del centro di Roma siano così eleganti, fighetti e bui.

Sul pianerottolo del quarto piano un filo di luce mi guida a una porta socchiusa, il 'buchetto' del grande Sindacalista, una sessantina di metri quadrati, un'unica grande stanza invasa dagli oggetti della sua passione. Sono decine, di ogni colore e forma, di ogni materiale e dimensione. In un angolo un groviglio di fili, cavi elettrici e spine per alimentare fax, computer, stampante laser, impianto stereo, videoregistratore, televisore con schermo gigante.

Non esistono pareti, o comunque non se ne vede traccia, nascoste come sono. Non si scorge nemmeno lui, il grande Sindacalista. Dopo un po' sento la sua voce. Parla con qualcuno al telefono. Sullo schermo del televisore scorrono le immagini di un tg, la giornalista parla di un incidente, un operaio morto in un cantiere. 'Sì, mi sto recando lì, i lavoratori devono sapere che sono con loro'.

Quando mi vede interrompe di colpo la telefonata per venirmi incontro. 'Benvenuta nel mio buchetto...' Mi precede verso una scala di legno. In cima c'è un soppalco con una finestra che si apre su un terrazzo illuminato dal sole. Con un braccio mi cinge la vita e mi accompagna fuori.

giovedì 25 giugno 2009

In nome dei lavoratori (seconda puntata)

Spingo a caso uno dei pulsanti. Una pernacchia metallica e poi un lungo silenzio. Provo un altro, un altro ancora. Li provo tutti. Otto pernacchie metalliche seguite da otto lunghi silenzi. Oggi sarebbe stato facile, avrei preso il telefonino e chiamato il grande Sindacalista per dirgli quello che pensavo del suo citofono. Quindici anni fa mi guardo intorno e vedo soltanto sarcinesche abbassate, portoni chiusi, auto parcheggiate.

Lancio un'occhiata implorante al cancello anodizzato, poi in alto all'edificio cinquecentesco molto elegante, cinque piani di caldi mattoni rossi. E lo vedo, le braccia comodamente appoggiate alla ringhiera di ferro del balcone, il grande Sindacalista si sta godendo lo spettacolo, il mio spettacolo.

'Da quanto tempo sei lì a prendermi in giro?', gli chiedo. Il grande Sindacalista non risponde, si limita a fare un gesto con la mano tesa. Il cancello si apre automaticamente su un vialetto. Lo seguo fino ad un altro portone di metallo anodizzato e un altro citofono senza nomi. Il 'vaff..' a quel punto mi viene proprio dal cuore.

mercoledì 24 giugno 2009

In nome dei lavoratori (prima puntata)

L'appuntamento è in una strada del centro di Roma, strada famosa, da appartamenti a 10 mila euro al metro quadro oggi, e diversi milioni alcuni anni fa, quando la frequenta anche il Sindacalista, il grande leader. Tra una riunione e l'altra, tra una trattativa e l'altra si rifugia lì, nel suo 'buchetto':tre stanze e accessori di proprietà di un ente, pagati a un prezzo di assoluto favore.

'Sono lì, vieni quando vuoi', mi dice un giorno mentre parliamo di una complessa questione di salari. 'Ti mostro le cose che faccio'. Perché oltre a essere un grande Sindacalista è anche un uomo pieno di passioni culturali e ci tiene a esibirle.

Arrivo nel primo pomeriggio. Saranno le quattro. Quello che non capisco proprio è perché vicino ad alcuni palazzi frequentati da personaggi un po' noti non ci sia mai il numero civico e soprattutto un nome sul citofono. Basterebbe anche un nome in codice, chessò 'Sono io' oppure 'Eccomi'. Invece, nulla, se non una fila di cartellini bianchi. I più simpatici sono due. Il primo ha scritto: 'Int. 3' e un altro in vena di lungaggini: 'Interno 5'.