venerdì 4 settembre 2009

il capo (quinta parte)

L'autista passa a prendermi la mattina alle otto. Non ho la più pallida idea di dove siamo diretti e quanto tempo dovrò fermarmi fuori casa. Il capo mi ha telefonato ieri sera e mi detto solo di farmi trovare pronto per quell'ora.
Quando arriviamo all'aeroporto di Bologna lo trovo ad aspettarmi e li scopro che siamo in partenza per a Parigi. Ha l'aria seria il capo e leggermente imbronciata, io lo guardo per quel che vecchio che è e mi fa quasi tenerezza ma subito dopo mi sento quasi una merda per essermi lasciata commuovere da lui. “mi ha detto Francesca che tu parli bene il francese” mi dice mentre facciamo la fila per imbarcarci e ma io in preda al panico da lingua straniera nego “non importa” fa lui “tanto lo parlo bene io” e lì in preda ad un panico anche peggiore, mi chiedo per quale motivo allora, mi ha chiesto di accompagnarlo a Parigi.
Durante il viaggio parliamo di lavoro, lui mi fa delle domande e io rispondo poi mi chiede un parere su qualcosa e io, lusingata da quella domanda, cerco di dare il meglio di me. Un po' mi rilasso, forse sono davvero brava nel mio lavoro e per questo mi sta portando con se. Così mentre lui riposa, io mi attacco ad una ad una alle risposte che gli ho appena fornito e trovo che le mie siano delle belle risposte, ben articolate, esaustive e piene di entusiasmo. Cazzo, mi dico mentre ci avviamo all'atterraggio, forse lui mi apprezza davvero per quello che so fare e non solo perché sono una donna. Forse, mi dico in uno slancio di ingenuità, sono davvero brava e le sue gentilezze sono solo un modo un po' rude di farmelo capire. E mentre mi racconto questa favoletta mi torna in mente il maniaco del cinema che all'età di cinque anni mi toccò le cosce per tutta la durata del film. “mamma” avevo detto alla fine della proiezione “lo sai che l'uomo laggiù è stato molto affettuoso con me? mi ha accarezzato le cosce per tutto il tempo. A me non piaceva molto ma non volevo offenderlo e l'ho lasciato fare, ho fatto bene mamma?”.
Quando atterriamo la botta di autostima ha lasciato spazio alla più misera disperazione: non ho più cinque anni e non sono più in una sala cinematografica con un maniaco ma a Parigi con il capo.
Penso quasi di fingere un malore. Mi dico che se si avvicina fingo di sentirmi male, magari faccio finta di svenire o di avere un attacco di panico. No, l'attacco di panico no che per il mio lavoro è controproducente. Magari fingo un'allergia ecco si un'allergia tremenda..... ma tutti questi pensieri svaniscono rapidamente quando lui mi dice di sbrigarmi che c'è una macchina fuori che ci aspetta per portarci da un famoso cliente. Anzi “il” famoso cliente quello che ha una galleria strepitosa che solo pochi intimi e pochissimi miei colleghi, hanno avuto la fortuna di vedere.

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