sabato 18 luglio 2009

Il capo (quarta parte)

Papi lo chiamiamo “Capo”. La prima volta che lo chiamo “Capo” non mi piaccio.
Il Capo mi aspetta a Milano ma non mi riceve subito. Anzi. Aspetto più del necessario e quando mi vede mi dice “ah sei qui. Aspettami ancora un po' che dopo parliamo”. “Si capo” gli rispondo.
Quando finalmente mi fa entrare nel suo ufficio ha l'aria stanca e annoiata. Si toglie gli occhiali e si strofina gli occhi. Poi mi chiede se ho qualcosa di urgente da fare l'indomani in ufficio.
La notte la passo da sola a Milano, prima di addormentarmi ricevo una sua telefonata: mi vuol dare la buonanotte.
La mattina dopo alle otto sono già nel suo ufficio, lui ha l'aria professionale, leggermente distaccata, ha l'aria che assume quando deve parlare di lavoro ma qualcosa nel suo tono non mi convince.
Mi chiede come mi trovo con i colleghi, se il lavoro mi piace e se sono disposta a viaggiare. Quel “disposta a viaggiare” lo butta lì tra le altre domande come niente fosse ma quando gli chiedo dove e per fare cosa, mi risponde che per adesso non importa poi comincia a farmi domande intime sui miei colleghi. Vuol sapere se ci sono storie in ufficio di cui non sa niente, mi mette in guardia contro qualcuno (qualche “vecchio marpione” secondo lui, dal quale dovrei guardarmi) e mi domanda se secondo me lui fa bene a fidarsi della mia capa. Io rispondo si di getto e non perché ne sia sicura ma perché penso che voglia tendermi un tranello per scoprire se sono una collaboratrice fedele.
Il tranello effettivamente me lo tende ma non è quello che pensavo io e io ci casco in pieno. “ecco lo vedi come sei? Tu sei troppo buona, troppo ingenua, se non ci fossi io a metterti in guardia e a dirti di non fidarsi di nessuno, chissà cosa ti succederebbe”. Nel dirlo assume il solito tono paterno e mi prende una mano tra le sue. Poi sorride, un sorriso enorme e senza lasciarmi la mano, si alza in piedi, si avvicina, mi accarezza i capelli e tenta di baciarmi. Io mi alzo di scatto e la sedia cade per terra con un gran tonfo. Quando la sedia è tornata a posto anche lui è nuovamente al suo posto e questa volta,, per impartirmi qualche ordine prima che io lasci il suo ufficio, usa il tono annoiato di chi trova che quella conversazione sia durata fin troppo. “va bene vai che avrai da lavorare anche tu e tienimi informato sulle novità...... e, a proposito, non c'è bisogno che tu riferisca di questo incontro alla tua capa”. Ma la mia capa ovviamente sa che sono qui a Milano perché lui voleva incontrarmi. “inventati qualcosa” mi dice mentre sta già componendo un numero di telefono “ti devo dire tutto io? Se non sei in grado di mantenere un briciolo di discrezione sulle nostre conversazioni, allora cambia lavoro”.
Quando esco dal suo ufficio un collega che evidentemente ha sentito la sedia cadere mi fa “ci è andato giù pesante oggi il capo eh!”

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