giovedì 2 luglio 2009

Il capo (seconda parte)

La seconda volta mi riceve direttamente nel suo ufficio di Roma.
Ho fatto un buon lavoro e la mia capa lascia che me ne assuma tutto il merito.
Il giorno dopo una macchina con autista viene a prendermi a casa e mi porta direttamente a Roma.
Per la notte ho una camera prenotata al Plaza Hotel.
In ufficio conosco personalmente qualche collega con il quale, fino ad allora, avevo parlato solo telefonicamente. Tutti mi chiedono “sei qui per il capo vero?” e io mi sento leggermente a disagio come una vergine sacrificale.
La segretaria del capo mi accoglie quasi subito e mi fa attendere in una stanza riservata dalla quale si accede direttamente nell'ufficio del capo.
L'attesa, nonostante ci siano diverse persone in attesa, dura pochissimo. Nel giro di qualche minuto, sono già seduta di fronte alla scrivania del capo.
Il tono con il quale mi invita ad accomodarmi è gentile, educato, quasi paterno. Prima che io possa tirare fuori dalla borsa le mie carte, mi chiede di me, della mia famiglia, dei miei studi, della mia situazione sentimentale. Ad ogni mia riposta lui fa seguire un lungo silenzio meditativo come se sapere che mia mamma si chiama Maria, fosse un'informazione particolarmente interessante.
Io non ho alcuna voglia di parlare di me ma mi dico che sarebbe scortese non rispondere.
Lui, dopo ogni pausa meditativa, si sporge sempre un po' di più dalla scrivania, si avvicina al mio volto e usando un tono di volta in volta più basso e più suadente mi dice che sono proprio una brava ragazza. Io raddrizzo la schiena e cerco di aderire con sempre maggior tenacia alla spalliera della sedia.
Poi lui fa qualcosa che non mi aspetto. Si rimette composto sulla sua sedia, raddrizza la schiena e con tono autoritario e professionale mi chiede di mostrargli le carte che ho portato.
Io mi inchino, apro la borsa, estraggo i documenti e li appoggio sul tavolo, e nel momento nel quale la mia mano si posa sulla sua scrivania, lui con un balzo la copre con la sua.
Ora mi ritrovo con la mia mano nelle sue e mi attacco disperatamente all'idea che sia un'altra manifestazione di affetto o di riconoscenza. Il vecchio mi invita a proseguire.
Io non dico niente e comincio a parlare di lavoro.
Un'ora intera a parlare di lavoro mano nella mano con il grande capo.
I

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